Dalla macchia mediterranea al bosco
Proseguiamo il nostro percorso verso le dune sempre più antiche e coperte da vegetazione
man mano più alta e rigogliosa: le prime specie della macchia mediterranea si trovano
già dalla prima interduna, ed aumentano la loro presenza, sia come numero di specie che
per copertura del terreno, nella seconda linea di dune e di avvallamenti, aumentando
progressivamente verso l'interno fino a costituire la vera e propria macchia che si estende per
diversi chilometri quadrati. Addentrandoci ulteriormente troveremo il bosco con vari tipi di
querce, altre zone umide, pinete, radure.
La macchia mediterranea
Dove, dopo molti anni, la sabbia comincia ad essere consolidata dalla tenace azione delle radici,
si costituisce la duna fissa ed iniziano a crescere alcuni arbusti, avanguardia delle essenze
tipiche della macchia mediterranea.Il
Ginepro coccolone, il
Ginepro
fenicio, il
Lentisco, il
Corbezzolo, lo
Smilace (salsapariglia o stracciabraghe) e la
Fillirea
sono tra le specie più importanti della duna fissa, infatti sono piante amanti di luoghi
aridi e caldi.
Intrecciate nei cespugli della macchia compaiono anche alcune piante dalle fioriture bellissime
come l'
Erica, il
Caprifoglio e la
Clematide,
ed ai margini dei percorsi soggetti a calpestio o nelle aree degradate dal fuoco è
comune il
Cisto. Poiché la produzione di humus
sotto la duna fissa è molto più intensa che nella duna mobile, il suolo subisce
un'ulteriore evoluzione: procedendo verso l'interno troviamo un terreno più ricco e
vegetazione arbustiva sempre più alta, compaiono i primi lecci, con foglie coriacee e
portamento cespuglioso, e la vegetazione si innalza ancora.
Il bosco misto
La macchia alta passa quindi al bosco, caratterizzato dalla presenza di varie specie di quercia:
lecci,
farnie,
farnetti,
sughere ed ibridi. Nelle aree boschive di Castelfusano, Castelporziano
e Capocotta ci sono variazioni nella composizione dei querceti, ma queste variazioni
probabilmente derivano dalla risposta alle varie sollecitazioni della selvaggina presente e
dall'utilizzo dell'uomo nel corso dei secoli (tagli, "pulizia" del sottobosco,
rimboschimenti e coltivazione di pino domestico, attività dei carbonai). Sono presenti
essenze di enorme interesse botanico ed ecologico, sia sul piano arboreo che su quello arbustivo
e del sottobosco. Oltre a quelle già citate ricordiamo l'
Alloro, il
Viburno, il
Mirto ed il
Pungitopo.
Il bosco igrofilo
Alcune aree, caratterizzate dalla presenza di acqua al suolo o comunque da una sua maggiore
umidità persistente anche nel periodo estivo, consentono la vegetazione di specie vegetali
igrofile, e per quanto siano frammentarie costituiscono un importante ambiente sia dal punto di
vista botanico che faunistico. Tra le specie più significative di questo ambiente:
l'
Ontano nero, il
Pioppo bianco, l'
Olmo campestre,
la
Farnia, la
Felce e l'
Equiseto.
La pineta
Il pino domestico è molto diffuso: questa specie, originaria della Spagna meridionale
è stata introdotta dall'uomo sia per il suo aspetto ornamentale che per la produzione
di legna e pinoli. In alcune zone di bosco costituisce il piano dominante, con piante molto
vecchie che sovrastano il misto di lecci ed altre essenze mediterranee sottostante, ma dove
è stato piantato in modo intensivo il sottobosco è rado e molto impoverito, ed
i pini stessi sono ormai provati dagli anni. Nelle zone più eposte ai venti marini le
chiome dei pini sono molto danneggiate, per l'effetto della salsedine e delle sostanze presenti
in sospensione.
Le radure
Alcune superfici quasi prive di copertura arborea, con aspetto di prateria o savana, hanno
prevalentemente origine da disboscamenti effettuati per poterle utilizzare per coltivi. Rari
alberi si innnalzano sopra distese di erba che, vista l'elevata aridità dell'ambiente,
assumono già all'inizio dell'estate un aspetto steppico. Comuni nelle radure l'
Asfodelo
e il
Carice.
La fauna
I grandi mammiferi erbivori ed ungulati abitano le grandi tenute di Castelporziano e Capocotta,
risentendo nell'area di Castelfusano dall'eccessiva pressione antropica.
Nel folto della foresta
Nel folto della foresta, spostandosi nelle zone più aperte in cerca di cibo, erba e
germogli, vive in una popolazione autoctona il
Capriolo con un discreto numero
di esemplari.
La presenza del
Cervo è limitata ad una popolazione non numerosa che
frequenta le parti più sicure e riparate della tenuta di Castelporziano: questo grande
erbivoro è stato reintrodotto relativamente di recente.
Il
Cinghiale è presente in gran numero, ed un po' ovunque, nel folto
della macchia e nella foresta caducifoglia delle tenute. Le ghiande, i tuberi e le radici ed i
frutti offerti dalla ricca e varia vegetazione presente rappresentano un ghiotto menù per
questo ungulato, consentendogli condizioni di vita e riproduttive ottimali.
Nelle aree boscose più aperte e nelle praterie
Nelle aree boscose più aperte e nelle praterie della tenuta di Castelporziano vive anche
il
Daino, più piccolo del cervo, ma in una popolazione assai più
numerosa. Nelle ampie pianure che hanno preso il posto delle vaste depressioni acquitrinose di
un tempo, questo grazioso ed adattabile animale trova un ambiente idoneo ed è avvistabile
in piccoli gruppi di esemplari.
Anche per altri mammiferi la foresta caducifoglia è l'habitat ideale: la
Martora sfrutta le cavità nei tronchi degli alberi secolari,
arrampicandosi agilmente sui rami più alti al mattino presto e la sera per insidiare i
nidiacei, cacciando i piccoli mammiferi che si nascondono nei buchi nel terreno o negli anfratti
tra le radici; sono presenti anche la
Puzzola e la
Donnola.
Tra le radici cercano rifugio, scavandosi le tane che spesso condividono, anche il
Tasso e l'
Istrice. Con un po' di attenzione si possono
trovare tracce lasciate da questi animali, che si muovono anche negli ambienti limitrofi
alla macchia, spingendosi di quando in quando verso le zone agricole, le radure, la macchia.
La Donnola si spinge in cerca del
Coniglio selvatico fin sulle dune, e non
è raro imbattersi in qualche aculeo lasciato da un istrice di passaggio.
La
Volpe rossa è comune e segnalata un po' dappertutto, con incursioni
anche verso le zone agricole e campestri ai margini delle tenute.
Un simpatico insettivoro, il
Riccio confida nella resistenza passiva: in caso
di pericolo si appallottola e purtroppo è spesso vittima delle auto nelle sue
scorribande notturne in cerca di cibo. La sua presenza è più diffusa nell'area di
Castelfusano, probabilmente per la mancanza dei cinghiali, che nella ricerca di cibo sollevano
con il muso il terreno.
Anche la
Talpa e la
Lepre sono presenti nei coltivi e nei
prati.
Nelle zone umide
Nelle zone umide ormai ridotte a poche residue piscine interdunali, qualche canale di bonifica e
prativi allagati in inverno e primavera la
Lontra non è più
segnalata da tempo, ma in questi territori si può incontrare la
Nutria,
roditore originario del Sudamerica ormai diffuso praticamente in quasi tutti gli ambienti
umidi della penisola.
Nella fascia retrodunale e nelle dune
Nella fascia retrodunale e nelle dune è comune il
Coniglio selvatico:
di dimensioni più piccole rispetto agli esemplari domestici, trova qui il suo habitat
ideale. Nel terreno sabbioso e riparato dai primi cespugli della macchia, scava i cunicoli e
le camere intercomunicanti delle sue tane, riservandosi delle uscite di sicurezza in caso di
pericolo. Non è facile osservarlo di giorno, perché si tiene nascosto, ma si
possono trovare le caratteristiche impronte ed i suoi escrementi a pallina, riuniti in latrine
collettive. I conigli sono predati dalla volpe e dalla donnola, che alla sera si spingono fino
alla zona delle tane per cacciarli.
Nelle dune sabbiose e nella macchia vive anche la
Testuggine di Hermann.
Qui ormai ai confini della spiaggia troviamo la
Lucertola delle sabbie con le
sue zampe adattate per non affondare nella sabbia, e seguendo le caratteristiche tracce lasciate
sulla sabbia possiamo vedere lo
Scarabeo stercorario e la
Pimelia.
Tra gli insetti la
Farfalla del corbezzolo, la
Falena del Pancrazio il cui bruco vistosissimo e multicolore rosicchia
le foglie del giglio di mare, ed al cui destino è legata, e la
Sfinge dell'
euforbia, disdegnata dai predatori perché tossica come la pianta di cui si
nutre il suo bruco.
L'avifauna
La spiaggia ed il mare offrono in ogni stagione possibilità di avvistamenti ed
osservazioni e, nel tratto della riserva presidenziale precluso al pubblico: uno spazio di
tranquillità integrale che rappresenta per diverse specie un possibile ambiente di
nidificazione. Sovrani di questi ambienti sono, indiscutibilmente, i
Gabbiani:
alcuni più rari ed occasionali come il
Mugnaiaccio, il
Gabbiano corallino, lo
Zafferano; altri come il
Gabbiano comune avvistabile in folti gruppi prevalentemente nella brutta
stagione; il
Gabbiano reale presente in gran numero ed in ogni stagione.
Non è difficile, arrivando in spiaggia al mattino presto, trovarne le tracce
sull'arenile, e qualche penna sparsa.
Ai passi sono frequenti il
Gabbianello, il
Fraticello e la
Sterna comune, e in primavera, è possibile assistere al passaggio in
formazione di stormi di
Anatre ed
Oche, dirette verso i siti
di nidificazione.
Altre specie che si possono osservare sono il
Chiurlo e la
Pivieressa, oltre al
Corriere piccolo,
il
Fratino e la
Beccaccia di mare, che forse nidificano nei
punti più riparati. Avvistati più di recente il
Cormorano
e la
Sula.
Nella macchia mediterranea e nelle dune sono abbondanti i piccoli passeriformi: stazionari la
Sterpazzola, la
Capinera, l'
Occhiocotto,
più rara la
Magnanina. Piuttosto comune in inverno è la presenza
della
Passera scopaiola, dello
Scricciolo e del
Pettirosso. In primavera, in corrispondenza del passo, molte altre specie
appaiono: la
Cutrettola, l'
Upupa, il
Codirosso,
la
Quaglia, il
Rigogolo.
La foresta caducifoglia ospita in tutti i periodi dell'anno un gran numero di specie. Alcune sono
quelle che possono essere osservate facilmente anche negli ampi spazi verdi in città, e
comuni anche in altri ambienti, come il
Merlo, la
Cinciarella,
la
Cinciallegra, il
Picchio muratore ed il
Codibugnolo.
Altre arrivano in autunno per svernare in zona: è il caso dei
Colombacci
e dei
Tordi, mentre in primavera è presente la
Tortora.
Tra gli uccelli notturni, la
Civetta, e l'
Allocco,
presenti anche nelle zone coltivate limitrofe.
Nelle maestose pinete, in particolare a Castelfusano, troviamo una tipica e varia avifauna: qui
nidifica la bellissima e rara
Ghiandaia marina, è presente una ricca
colonia di
Taccola, e troviamo anche il
Picchio rosso maggiore,
il
Picchio verde e la
Ghiandaia. Sono presenti inoltre il
Fringuello, il
Rampichino, il
Fiorrancino
ed il
Regolo.
Nelle zone prative si possono trovare in inverno
Cardellini,
Strillozzi,
Pispole e
Pavoncelle;
in quelle agricole e più antropizzate sono presenti l'
Allodola,
la
Rondine, il
Rondone ed
il
Balestruccio.
In alcuni tratti, dove il bosco lascia spazio alla prateria, troviamo il
Cuculo,
l'
Upupa, l'
Averla piccola, il
Verzellino ed
il
Verdone, oltre alla comune
Cornacchia grigia. Qualche
coppia di
Fagiani, discendente di .. fortunati scampati alla caccia, nidifica
a Castelporziano. In numero estremamente ridotto, e limitatamente alle zone più riparate
e meglio conservate, sono presenti alcuni rapaci: il
Nibbio bruno,
la
Poiana, il
Gheppio, il
Falco lodolaio.
Nei canali di bonifica, nei prativi che d'inverno si allagano e nelle piccole piscine residue
(oggi le zone umide occupano una porzione infinitesimale dell'area territoriale in esame)
è possibile osservare qualche specie tipica.
Piccoli gruppi di
Germano Reale,
Alzavole e
Gallinella d'acqua svernano nei canali di Castelporziano, e talvolta vi si
rifugia l'
Airone cenerino. Ai passi si possono osservare il
Piro piro piccolo ed il
Tuffetto. Nei canneti residui del
canale dello stagno possono sostare l'
Usignolo di fiume, la
Cannaiola, il
Tarabusino, qualche
Folaga
o
Garzetta.
D'inverno è anche presente in discreto numero il
Martin pescatore,
mentre la
Pittima reale e la
Marzaiola approfittano degli
ultimi residui prativi allagati, prima che la stagione calda abbia il sopravvento.
La spiaggia
L'ambiente della spiaggia sabbiosa ha uno sviluppo sostanzialmente lineare e può essere
ridotto a una fascia larga poche centinaia di metri, ma molto sviluppata nel senso della
lunghezza. L'Italia possiede circa 9.000 chilometri di coste marine, buona parte delle quali
è occupata dalle spiagge. Tale ambiente si estende dal limite raggiunto dalle acque marine
in condizione di bassa marea fino alle dune più alte e boscose e comprende anche le lagune
retrodunali, così chiamate perché si formano per ristagno di acqua dolce e salata
nelle depressioni situate fra le dune. Questi ultimi ambienti, nelle zone caratterizzate da una
lunga siccità estiva (come nel Mediterraneo), si trasformano d'estate in prati asciutti
e salati, per l'elevata concentrazione di cloruro di sodio lasciato dalle acque salmastre
evaporate. L'elemento unificante è rappresentato dalla sabbia, roccia disgregata in
minuscoli granelli dall'azione meccanica del vento e delle onde.La sabbia viene classificata
in funzione delle dimensione dei granelli, che passano da quelli più piccoli, che misurano
0,2 mm, a quelli grandi fino a 2 mm. La sabbia riflette le caratteristiche del substrato da cui
proviene. Le sabbie più diffuse sono quelle quarzifere, ricche quindi di silicio, che
contengono anche altri composti ed elementi, fra cui il ferro chi dà un colore grigio
scuro alle spiagge "ferrose". Nelle zone granitiche la sabbia si presenta di un
delicato colore rosa, e deriva dalla demolizione dei graniti rosa (fatto che si verifica in
molte zone della Sardegna), in altre località è bianca perché è
formata da frammenti di gusci di conchiglie (queste sabbie, ricche di calcio, sono tipiche
di alcune zone dell'Adriatico e dell'Egeo).
Nel Pleistocene, il Vulcano Laziale e il Vulcano Sabatino, oggi sede rispettivamente dei laghi
di Albano e di Bracciano, erano in piena attività. La valle che li divideva era già
attraversata dal Tevere che scorreva con un percorso molto simile a quello attuale, trasportando
verso il mare una grande quantità dei minerali prodotti dai vulcani ed alimentando
così la spiaggia, modellata dai venti e dalle correnti marine.Nel volgere dei millenni
il corso del Tevere ha subito diversi spostamenti dovuti alla sedimentazione e, in maniera
più rilevante, alle variazioni del livello del mare conseguenza delle glaciazioni.
Sostanziali mutamenti hanno interessato anche la linea di costa che 50.000 anni fa, all'epoca
dell'ultima glaciazione, si trovava molto più avanti, essendo il mare oltre 100 metri
inferiore al livello attuale. Successivamente il mare ha riguadagnato terreno fino all'epoca
romana quando il cambiamento dell'uso dei suoli a monte, che iniziavano ad essere disboscati,
ha prodotto un aumento dei sedimenti trasportati dal fiume e dunque un nuovo avanzamento della
linea costiera. Questo avanzamento, dapprima moderato, si è particolarmente intensificato
a partire dal XVI secolo, quando la destinazione dei terreni ad uso agricolo ha subito un
notevole impulso ed il taglio dei boschi è divenuta una pratica generalizzata. Oggi si
assiste ad una nuova inversione di tendenza : la costruzione di dighe e l'intensa attività
di estrazione di sedimento dal fiume Tevere a monte di Roma (per l'utilizzo in edilizia), sta
causando un nuovo arretramento della costa con notevoli ripercussioni sull'attività
turistica.
I fondali
I rilievi batimetrici dei fondali antistanti le spiagge romane, evidenziano una topografia
uniforme, anch'essa determinata dall'apporto di sedimenti che dal delta del Tevere si riversano
in mare. La granulometria di tali sedimenti, quasi esclusivamente di tipo sabbioso, è
assai variabile in conseguenza dell'interazione tra l'apporto solido del fiume e l'azione del
moto ondoso che lo redistribuisce sui bassi fondali. Il movimento delle correnti dà vita
ad una serie di "barre", lingue di sabbia poco al di sotto del livello del mare, che
si dispongono parallelamente alla costa.
Le secche di Tor Paterno
Longitudinalmente, la continuità dei fondali è interrotta dalle secche di Tor
Paterno che si estendono poco oltre Capocotta, in direzione quasi normale alla linea costiera,
lungo l'asse WSW, con profondità che variano tra i 2 e i 120 metri. Si tratta di due
secche che, con molta probabilità, fanno parte di un'unica carena rocciosa e sono separate
da un canale di profondità compresa tra i 19 e i 35 metri, anch'esso roccioso, sebbene
ricoperto da uno spesso strato di sabbia mista a fango. La prima, denominata "Secchitella
di Paterno" (meglio conosciuta dai pescatori come "Il Forte") è una lingua
rocciosa costituita da scogli spartiti, misti ad alghe ed a sabbione, che inizia molto stretta
per ampliarsi mano mano verso il largo dove raggiunge la massima profondità di 18 metri.
Nella seconda, la vera e propria "Secca di Paterno", la roccia inizia alla
profondità di 35 metri per terminare a 120 metri circa ; oltre tale fondale, fino ai 140
metri, il fondo del mare continua ad essere duro per la presenza di "chianozze" basse,
chiamate anche "chiastre", che diventano sempre più rade all'aumentare della
profondità. Questa scogliera sommersa, lunga cinque miglia e larga in media poco meno di
due, è costituita da rocce talora alte e frastagliate, miste a grossi sassi ed a morzate
che si susseguono con bruschi ed improvvisi salti di profondità. La parte più
movimentata è quella compresa tra i 35 ed i 65 metri, dove a causa delle rocce altissime
che si elevano dal fondo, la profondità decresce rapidamente fino a raggiungere i 18
metri, meno della metà di quella circostante. Successivamente questa secca presenta rocce
sempre più basse: dai 65 agli 87 metri di profondità, il fondo del mare risulta
infatti coperto di scogli spartiti e, dagli 87 in poi, da chianozze. Gli ammassi rocciosi
descritti ospitano frequenti tane e grotte dove trovano riparo saraghi, orate, murene, sgombri,
ombrine, occhiate, castagnole, polpi e numerosi altri pesci di scoglio, compresi i crostacei.
Inoltre, le secche di Paterno sono l'unica zona, in tutto il Lazio centrale, ad ospitare le
importantissime praterie di Posidonia oceanica, presente nella fascia compresa tra i 18 e i 40
metri di profondità della secca più esterna.
La Posidonia oceanica
Le praterie di Posidonia rappresentano uno degli elementi fondamentali dell'equilibrio e della
ricchezza dell'ambiente litorale costiero. La Posidonia non è un'alga, ma una fanerogama,
ossia una pianta superiore endemica del Mediterraneo del quale colonizza ampie aree dando vita
alle praterie o, laddove è presente in più strati, alle "matte",
formazioni a terrazzo costituite da un intreccio di vecchi rizomi e radici compattati dai
sedimenti del fondo.
In virtù delle sue elevatissime capacità fotosintetiche la Posidonia contribuisce
in maniera notevole all'ossigenazione delle acque e le sue foglie morte vanno ad alimentare una
rete trofica la cui base è costituita da batteri, funghi e protozoi e il vertice da
predatori di livello superiore, tra cui i pesci.
Le praterie sono popolatissime sia da alghe che da specie animali che spesso vi trovano rifugio
nel loro stadio giovanile e dunque, un loro degrado influisce negativamente sull'intero sistema
costiero, determinando un impoverimento sia quantitativo che qualitativo delle catene alimentari.
Inoltre esse rappresentano un fattore di stabilità per i fondali, ammortizzando le onde e
le correnti e trattenento il sedimento in transito. Per queste sue caratteristiche e per la
particolare sensibilità alle alterazioni dei fattori ambientali, la Posidonia è
utilizzata quale indicatore biologico per la valutazione dello stato di salute dell'ecosistema
marino.
La storia
La zona circostante il delta del Tevere, compresa tra Maccarese a nord e Castelporziano -
Capocotta a sud, era caratterizzata da estese paludi di acqua salmastra, oggi bonificate.
L'evaporazione dell'acqua, molto intensa durante l'estate, dava vita a depositi di sale di un
certo rilievo che in epoca romana rappresentavano un'importante fonte di approvvigionamento per
la città. Nella zona meridionale del delta, tra Castelfusano e Capocotta, le dune di
sabbia, separando la palude dal mare, costituivano una fascia di terreno asciutto che veniva
usata per il collegamento tra i piccoli centri litoranei e che, più tardi, fu usata per
la creazione di una vera e propria strada, la via Severiana, che univa il centro portuale di
Ostia a Lavinio, Anzio e Terracina e che veniva usata per rifornire Ostia della calce dei monti
Lepini.
La vasta area compresa tra Roma e il suo litorale era caratterizzata dalla presenza di numerosi
insediamenti di una certa importanza, quali Lavinium, Ficana, Laurentum e, soprattutto, Ostia e
Porto.
Le ville romane
La fascia più prossima al mare mostrò già in epoca romana la sua vocazione
quale zona destinata al riposo e allo svago. Infatti, nonostante la presenza di piccoli villaggi
di pescatori e pastori, spesso scomparsi senza lasciare alcuna traccia, la peculiarità
di quest'area fu senz'altro la presenza di numerose ville residenziali utilizzate da chi, pur
volendo rimanere nelle vicinanze di Roma, rifuggiva il caos cittadino che, evidentemente,
rappresentava un problema già allora.
Il primo che volle costruirsi la villa al mare fu Ortensio, ex pretore che aveva comandato la
flotta romana nelle guerre macedoniche e che scelse di vivere in un luogo immerso nei boschi e
da cui si vedesse il mare. I resti della sua villa si trovano oggi nei pressi del confine tra
i parchi di Castelfusano e Castelporziano.
Altri seguirono l'esempio di Ortensio e oggi rimane testimonianza di nove ville, la maggior
parte delle quali è situata nella Tenuta presidenziale di Castelporziano.
La più nota è senz'altro la Villa di Plinio..... Nell'ultima di queste ville, verso
Capocotta, chiamata la Casetta della Regina Elena in quanto fu rinvenuta nel 1906 per il
diretto interessamento della regina d'Italia, si è trovata una bella copia del discobolo
di Mirone, risalente al 142 d.C. e oggi custodita al Museo Nazionale Romano.
In seguito al crollo del dominio imperiale di Roma, il litorale seguì il destino di tutta
la campagna romana: le ville, i villaggi, l'intera città di Ostia, non più
difendibili dalle scorrerie di barbari e predoni, vennero progressivamente abbandonati e
resistettero solo alcuni insediamenti agricoli sparsi (massae) e le saline. Una prima
riorganizzazione del territorio si ebbe nel VIII secolo con la fondazione delle domuscultae,
aziende agricole dipendenti dal papato con la funzione di approvvigionare la città che
sempre più andava assumendo il carattere di feudo del pontefice. Tale esperienza
durò appena un secolo: nel IX secolo le incursioni saracene provocarono una nuova spinta
all'abbandono del litorale e al suo spopolamento.
Le torri di avvistamento e i castelli
E in questo periodo che, per far fronte alle incursioni dal mare, sulla costa vengono costruite
le torri di avvistamento e segnalazione come Tor Boacciana, nei pressi della foce del Tevere,
Torre Niccoliana, presso Fiumicino e Tor Paterno, avamposto della zona di Pratica e
Castelporziano, che fu distrutta nel 1812 da marinai inglesi nel corso delle guerre
napoleoniche. Queste torri trasmettevano i segnali di pericolo ad altre torri situate sulle
alture dell'entroterra, per dare modo ai centri abitati di approntare le difese.
Tra il X e lXI secolo, nella zona litoranea cominciano a sorgere alcuni castelli attorno ai
quali prendono vita i castra, centri abitati concentrati e fortificati, spesso proprietà
di grandi famiglie o del clero : nascono così Castel di Decima, Pratica di mare, Castel
di Leva, Castel Fusano, Castel Porziano (castrum Porciliani), Monte di Leva, Castel Romano.
Nel XIV e XV secolo, con l'introduzione delle armi da fuoco, le torri costiere vennero adeguate
all'utilizzo delle artiglierie. Tuttavia esse si dimostravano insufficienti e la difesa delle
coste doveva essere sempre più spesso demandata alle navi. Inoltre, lo straripamento del
Tevere nel 1557 aveva causato l'avanzamento della costa, nei pressi del delta, di oltre 1000
metri, rendendo inutile Tor Boacciana, forse la più importante delle vedette costiere.
Per questo, quando nel 1560 la flotta cristiana fu sconfitta a Gerbe dai Saraceni, rinfocolando
la paura delle incursioni dei pirati, Pio IV Medici di Marignano detta incarico all'architetto
Francesco Laparelli di revisionare tutto il sistema difensivo costiero.
Il primo risultato fu l'edificazione della stupenda Tor S. Michele, edificio a pianta
ottagonale che pare sia dovuto ad un progetto di Michelangelo Buonarroti e che andò a
sostituire Tor Boacciana. In seguito, con la Constitutio de aedificandis in oris maritimis di
Pio V Ghisleri, vennero ristrutturate le torri di Maccarese e di Fiumicino e furono erette
Tor Vaianica, Tor S. Lorenzo e, grazie a Marcantonio Colonna, Tor Paterna e Tor Materna nei
pressi di Anzio.
I latifondi
Finito il Medio Evo i territori costieri si trasformarono in latifondi delle grandi famiglie
che si avvicendavano nella proprietà delle tenute. Castelfusano fu dei Fabii, dei
Sacchetti e dei Chigi ; Castelporziano dei Neri e dei Grazioli ; Capocotta, Campo Ascolano e
Pratica furono dei Capranica e dei Borghese. Nel 1872 la Tenuta di Castelporziano venne
acquistata dai Savoia che, agli inizi del 900 comprarono anche la Tenuta di Capocotta.
Castelporziano, bonificata nel 1918, fu utilizzata nel periodo fascista per mettere a coltura
centinaia di ettari per la produzione di grano selezionato. Durante la seconda guerra mondiale
fu occupata dall'esercito tedesco che fece scempio della fauna presente e fu anche sottoposta
a pesanti bombardamenti da parte degli alleati.
Il dopoguerra
Nel 1948 la tenuta di Castelporziano fu risanata e passò in dotazione al Presidente
della Repubblica come Tenuta di rappresentanza. Nel 1970 venne destinata a riserva naturale
e, nello stesso anno, il Presidente Saragat donò al Comune di Roma circa 3 km. di
spiaggia appartenente alla Tenuta.
Capocotta, anch'essa bonificata nel dopoguerra e divenuta proprietà di una società
denominata Marina Reale, fu oggetto di un tentativo di lottizzazione per la costruzione di
ville e centri residenziali.
Tale tentativo fu bloccato dal Ministero dei Lavori Pubblici che nel 1967 così scriveva
al Comune di Roma:
"Tenuto conto della preminente esigenza di salvaguardare e tutelare il patrimonio paesaggistico
e scientifico di alto interesse Nazionale, di tutelare la disponibilità pubblica di un
comprensorio litoraneo da destinare al tempo libero di tutti i cittadini e di un adeguato
assetto della regione, si invita il Comune di Roma:
a - ad esaminare la necessità di predisporre una variante al piano regolatore generale la
quale consenta di vincolare l'intero comprensorio di Marina Reale destinandolo a verde pubblico
con speciale vincolo di salvaguardia paesaggistica ed ecologica (riserva naturale);
b - ad operare al fine di inserire il comprensorio nell'ambito delle riserve naturali in modo
di garantire quella sua più piena ed efficace salvaguardia che i compiti istituzionali e
le disponibilità finanziarie del Comune di Roma non possono assicurare;
c - una disciplina dell'uso del comprensorio che consenta l'accesso del pubblico alla spiaggia
(da mantenere libera), alla fascia retrostante e ad alcune zone marginali, definendo i limiti
della zona da destinare a riserva naturale attraverso il perfezionamento degli studi svolti
dagli enti e dalle organizzazioni citate;
d - a curare un'attenta sorveglianza del comprensorio, per evitare che interventi esterni o
incendi compromettano i valori che si intende tutelare..."